viva Ratzinger!
Inviato: 25 apr 2005, 12:12
non posso fare a meno, dopo essere stato presente alla prima messa celebrata ieri in piazza San Pietro dal nuovo Papa Benedetto XVI, di postare qui la sua fenomenale omelia, che dovrebbe quantomeno far pensare i catto-comunisti o quei progressisti cattolici.
Mi perdonerete la lunghezza del post...
Omelia di Papa Benedetto XVI per la Messa di inizio Pontificato
Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio,
distinte Autorità e Membri del Corpo diplomatico,
carissimi Fratelli e Sorelle!
Per ben tre volte, in questi giorni così intensi, il canto delle litanie dei
santi ci ha accompagnato: durante i funerali del nostro Santo Padre Giovanni
Paolo II; in occasione dell'ingresso dei Cardinali in Conclave, ed anche
oggi, quando le abbiamo nuovamente cantate con l'invocazione: Tu illum
adiuva - sostieni il nuovo successore di San Pietro. Ogni volta in un modo
del tutto particolare ho sentito questo canto orante come una grande
consolazione. Quanto ci siamo sentiti abbandonati dopo la dipartita di
Giovanni Paolo II! Il Papa che per ben 26 anni è stato nostro pastore e
guida nel cammino attraverso questo tempo. Egli varcava la soglia verso
l'altra vita - entrando nel mistero di Dio. Ma non compiva questo passo da
solo. Chi crede, non è mai solo - non lo è nella vita e neanche nella
morte. In quel momento noi abbiamo potuto invocare i santi di tutti i
secoli - i suoi amici, i suoi fratelli nella fede, sapendo che sarebbero
stati il corteo vivente che lo avrebbe accompagnato nell'aldilà, fino alla
gloria di Dio. Noi sapevamo che il suo arrivo era atteso. Ora sappiamo che
egli è fra i suoi ed è veramente a casa sua. Di nuovo, siamo stati consolati
compiendo il solenne ingresso in conclave, per eleggere colui che il Signore
aveva scelto. Come potevamo riconoscere il suo nome? Come potevano 115
Vescovi, provenienti da tutte le culture ed i paesi, trovare colui al quale
il Signore desiderava conferire la missione di legare e sciogliere?
Ancora una volta, noi lo sapevamo: sapevamo che non siamo soli, che siamo
circondati, condotti e guidati dagli amici di Dio. Ed ora, in questo
momento, io debole servitore di Dio devo assumere questo compito inaudito,
che realmente supera ogni capacità umana. Come posso fare questo? Come sarò
in grado di farlo? Voi tutti, cari amici, avete appena invocato l'intera
schiera dei santi, rappresentata da alcuni dei grandi nomi della storia di
Dio con gli uomini. In tal modo, anche in me si ravviva questa
consapevolezza: non sono solo. Non devo portare da solo ciò che in realtà
non potrei mai portare da solo. La schiera dei santi di Dio mi protegge, mi
sostiene e mi porta. E la Vostra preghiera, cari amici, la Vostra
indulgenza, il Vostro amore, la Vostra fede e la Vostra speranza mi
accompagnano. Infatti alla comunità dei santi non appartengono solo le
grandi figure che ci hanno preceduto e di cui conosciamo i nomi. Noi tutti
siamo la comunità dei santi, noi battezzati nel nome del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo, noi che viviamo del dono della carne e del sangue di
Cristo, per mezzo del quale egli ci vuole trasformare e renderci simili a se
medesimo. Sì, la Chiesa è viva - questa è la meravigliosa esperienza di
questi giorni. Proprio nei tristi giorni della malattia e della morte del
Papa questo si è manifestato in modo meraviglioso ai nostri occhi: che la
Chiesa è viva. E la Chiesa è giovane. Essa porta in sé il futuro del mondo e
perciò mostra anche a ciascuno di noi la via verso il futuro. La Chiesa è
viva e noi lo vediamo: noi sperimentiamo la gioia che il Risorto ha promesso
ai suoi. La Chiesa è viva - essa è viva, perché Cristo è vivo, perché egli è
veramente risorto. Nel dolore, presente sul volto del Santo Padre nei giorni
di Pasqua, abbiamo contemplato il mistero della passione di Cristo ed
insieme toccato le sue ferite. Ma in tutti questi giorni abbiamo anche
potuto, in un senso profondo, toccare il Risorto. Ci è stato dato di
sperimentare la gioia che egli ha promesso, dopo un breve tempo di oscurità,
come frutto della sua resurrezione.
La Chiesa è viva - così saluto con grande gioia e gratitudine voi tutti, che
siete qui radunati, venerati Confratelli Cardinali e Vescovi, carissimi
sacerdoti, diaconi, operatori pastorali, catechisti. Saluto voi, religiosi e
religiose, testimoni della trasfigurante presenza di Dio. Saluto voi, fedeli
laici, immersi nel grande spazio della costruzione del Regno di Dio che si
espande nel mondo, in ogni espressione della vita. Il discorso si fa pieno
di affetto anche nel saluto che rivolgo a tutti coloro che, rinati nel
sacramento del Battesimo, non sono ancora in piena comunione con noi; ed a
voi fratelli del popolo ebraico, cui siamo legati da un grande patrimonio
spirituale comune, che affonda le sue radici nelle irrevocabili promesse di
Dio. Il mio pensiero, infine - quasi come un'onda che si espande - va a
tutti gli uomini del nostro tempo, credenti e non credenti.
Cari amici! In questo momento non ho bisogno di presentare un programma di
governo. Qualche tratto di ciò che io considero mio compito, ho già potuto
esporlo nel mio messaggio di mercoledì 20 aprile; non mancheranno altre
occasioni per farlo. Il mio vero programma di governo è quello di non fare
la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con
tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi
guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora
della nostra storia. Invece di esporre un programma io vorrei semplicemente
cercare di commentare i due segni con cui viene rappresentata liturgicamente
l'assunzione del Ministero Petrino; entrambi questi segni, del resto,
rispecchiano anche esattamente ciò che viene proclamato nelle letture di
oggi.
Il primo segno è il Pallio, tessuto in pura lana, che mi viene posto sulle
spalle. Questo antichissimo segno, che i Vescovi di Roma portano fin dal IV
secolo, può essere considerato come un'immagine del giogo di Cristo, che il
Vescovo di questa città, il Servo dei Servi di Dio, prende sulle sue spalle.
Il giogo di Dio è la volontà di Dio, che noi accogliamo. E questa volontà
non è per noi un peso esteriore, che ci opprime e ci toglie la libertà.
Conoscere ciò che Dio vuole, conoscere qual è la via della vita - questa era
la gioia di Israele, era il suo grande privilegio. Questa è anche la nostra
gioia: la volontà di Dio non ci aliena, ci purifica - magari in modo anche
doloroso - e così ci conduce a noi stessi. In tal modo, non serviamo
soltanto Lui ma la salvezza di tutto il mondo, di tutta la storia. In realtà
il simbolismo del Pallio è ancora più concreto: la lana d'agnello intende
rappresentare la pecorella perduta o anche quella malata e quella debole,
che il pastore mette sulle sue spalle e conduce alle acque della vita. La
parabola della pecorella smarrita, che il pastore cerca nel deserto, era per
i Padri della Chiesa un'immagine del mistero di Cristo e della Chiesa.
L'umanità - noi tutti - è la pecora smarrita che, nel deserto, non trova più
la strada. Il Figlio di Dio non tollera questo; Egli non può abbandonare l'
umanità in una simile miserevole condizione. Balza in piedi, abbandona la
gloria del cielo, per ritrovare la pecorella e inseguirla, fin sulla croce.
La carica sulle sue spalle, porta la nostra umanità, porta noi stessi - Egli
è il buon pastore, che offre la sua vita per le pecore. Il Pallio dice
innanzitutto che tutti noi siamo portati da Cristo. Ma allo stesso tempo ci
invita a portarci l'un l'altro. Così il Pallio diventa il simbolo della
missione del pastore, di cui parlano la seconda lettura ed il Vangelo. La
santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore: per lui non è
indifferente che tante persone vivano nel deserto. E vi sono tante forme di
deserto. Vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete,
vi è il deserto dell'abbandono, della solitudine, dell'amore distrutto. Vi è
il deserto dell'oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più
coscienza della dignità e del cammino dell'uomo. I deserti esteriori si
moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi.
Perciò i tesori della terra non sono più al servizio dell'edificazione del
giardino di Dio, nel quale tutti possano vivere, ma sono asserviti alle
potenze dello sfruttamento e della distruzione. La Chiesa nel suo insieme,
ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre
gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l'amicizia
con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza.
Il simbolo dell'agnello ha ancora un altro aspetto. Nell'Antico Oriente era
usanza che i re designassero se stessi come pastori del loro popolo. Questa
era un'immagine del loro potere, un'immagine cinica: i popoli erano per loro
come pecore, delle quali il pastore poteva disporre a suo piacimento.
Mentre il pastore di tutti gli uomini, il Dio vivente, è divenuto lui stesso
agnello, si è messo dalla parte degli agnelli, di coloro che sono calpestati
e uccisi. Proprio così Egli si rivela come il vero pastore: "Io sono il buon
pastore. Io offro la mia vita per le pecore", dice Gesù di se stesso (Gv 10,
14s). Non è il potere che redime, ma l'amore! Questo è il segno di Dio: Egli
stesso è amore. Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più
forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo
migliore. Tutte le ideologie del potere si giustificano così, giustificano
la distruzione di ciò che si opporrebbe al progresso e alla liberazione dell
'umanità. Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti
bisogno della sua pazienza. Il Dio, che è divenuto agnello, ci dice che il
mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il mondo è
redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall'impazienza degli uomini.
Una delle caratteristiche fondamentali del pastore deve essere quella di
amare gli uomini che gli sono stati affidati, così come ama Cristo, al cui
servizio si trova. "Pasci le mie pecore", dice Cristo a Pietro, ed a me, in
questo momento. Pascere vuol dire amare, e amare vuol dire anche essere
pronti a soffrire. Amare significa: dare alle pecore il vero bene, il
nutrimento della verità di Dio, della parola di Dio, il nutrimento della sua
presenza, che egli ci dona nel Santissimo Sacramento. Cari amici - in questo
momento io posso dire soltanto: pregate per me, perché io impari sempre più
ad amare il Signore. Pregate per me, perché io impari ad amare sempre più il
suo gregge - voi, la Santa Chiesa, ciascuno di voi singolarmente e voi tutti
insieme. Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi.
Preghiamo gli uni per gli altri, perché il Signore ci porti e noi impariamo
a portarci gli uni gli altri.
Il secondo segno, con cui viene rappresentato nella liturgia odierna l'
insediamento nel Ministero Petrino, è la consegna dell'anello del pescatore.
La chiamata di Pietro ad essere pastore, che abbiamo udito nel Vangelo, fa
seguito alla narrazione di una pesca abbondante: dopo una notte, nella quale
avevano gettato le reti senza successo, i discepoli vedono sulla riva il
Signore Risorto. Egli comanda loro di tornare a pescare ancora una volta ed
ecco che la rete diviene così piena che essi non riescono a tirarla su; 153
grossi pesci: "E sebbene fossero così tanti, la rete non si strappò" (Gv 21,
11). Questo racconto, al termine del cammino terreno di Gesù con i suoi
discepoli, corrisponde ad un racconto dell'inizio: anche allora i discepoli
non avevano pescato nulla durante tutta la notte; anche allora Gesù aveva
invitato Simone ad andare al largo ancora una volta. E Simone, che ancora
non era chiamato Pietro, diede la mirabile risposta: Maestro, sulla tua
parola getterò le reti! Ed ecco il conferimento della missione: "Non temere!
D'ora in poi sarai pescatore di uomini" (Lc 5, 1-11). Anche oggi viene detto
alla Chiesa e ai successori degli apostoli di prendere il largo nel mare
della storia e di gettare le reti, per conquistare gli uomini al Vangelo - a
Dio, a Cristo, alla vera vita. I Padri hanno dedicato un commento molto
particolare anche a questo singolare compito. Essi dicono così: per il
pesce, creato per l'acqua, è mortale essere tirato fuori dal mare. Esso
viene sottratto al suo elemento vitale per servire di nutrimento all'uomo.
Ma nella missione del pescatore di uomini avviene il contrario. Noi uomini
viviamo alienati, nelle acque salate della sofferenza e della morte; in un
mare di oscurità senza luce. La rete del Vangelo ci tira fuori dalle acque
della morte e ci porta nello splendore della luce di Dio, nella vera vita. E
' proprio così - nella missione di pescatore di uomini, al seguito di
Cristo, occorre portare gli uomini fuori dal mare salato di tutte le
alienazioni verso la terra della vita, verso la luce di Dio. E' proprio
così: noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede
Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio
vivente, noi conosciamo che cosa è la vita. Non siamo il prodotto casuale e
senza senso dell'evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di
Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario. Non
vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da
Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli
altri l'amicizia con lui. Il compito del pastore, del pescatore di uomini
può spesso apparire faticoso. Ma è bello e grande, perché in definitiva è un
servizio alla gioia, alla gioia di Dio che vuol fare il suo ingresso nel
mondo.
Vorrei qui rilevare ancora una cosa: sia nell'immagine del pastore che in
quella del pescatore emerge in modo molto esplicito la chiamata all'unità.
"Ho ancora altre pecore, che non sono di questo ovile; anch'esse io devo
condurre ed ascolteranno la mia voce e diverranno un solo gregge e un solo
pastore" (Gv 10, 16), dice Gesù al termine del discorso del buon pastore. E
il racconto dei 153 grossi pesci termina con la gioiosa constatazione:
"sebbene fossero così tanti, la rete non si strappò" (Gv 21, 11). Ahimè,
amato Signore, essa ora si è strappata! vorremmo dire addolorati. Ma no -
non dobbiamo essere tristi! Rallegriamoci per la tua promessa, che non
delude, e facciamo tutto il possibile per percorrere la via verso l'unità,
che tu hai promesso. Facciamo memoria di essa nella preghiera al Signore,
come mendicanti: sì, Signore, ricordati di quanto hai promesso. Fa' che
siamo un solo pastore ed un solo gregge! Non permettere che la tua rete si
strappi ed aiutaci ad essere servitori dell'unità!
In questo momento il mio ricordo ritorna al 22 ottobre 1978, quando Papa
Giovanni Paolo II iniziò il suo ministero qui sulla Piazza di San Pietro.
Ancora, e continuamente, mi risuonano nelle orecchie le sue parole di
allora: "Non abbiate paura, aprite anzi spalancate le porte a Cristo!" Il
Papa parlava ai forti, ai potenti del mondo, i quali avevano paura che
Cristo potesse portar via qualcosa del loro potere, se lo avessero lasciato
entrare e concesso la libertà alla fede. Sì, egli avrebbe certamente
portato via loro qualcosa: il dominio della corruzione, dello stravolgimento
del diritto, dell'arbitrio. Ma non avrebbe portato via nulla di ciò che
appartiene alla libertà dell'uomo, alla sua dignità, all'edificazione di una
società giusta. Il Papa parlava inoltre a tutti gli uomini, soprattutto ai
giovani. Non abbiamo forse tutti in qualche modo paura - se lasciamo entrare
Cristo totalmente dentro di noi, se ci apriamo totalmente a lui - paura che
Egli possa portar via qualcosa della nostra vita? Non abbiamo forse paura di
rinunciare a qualcosa di grande, di unico, che rende la vita così bella? Non
rischiamo di trovarci poi nell'angustia e privati della libertà? Ed ancora
una volta il Papa voleva dire: no! chi fa entrare Cristo, non perde nulla,
nulla - assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande.
No! solo in quest'amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in quest'
amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione
umana. Solo in quest'amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che
libera. Così, oggi, io vorrei, con grande forza e grande convinzione, a
partire dall'esperienza di una lunga vita personale, dire a voi, cari
giovani:non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto.
Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a
Cristo - e troverete la vera vita. Amen.
Piazza San Pietro 24 aprile 2005-04-24
Mi perdonerete la lunghezza del post...
Omelia di Papa Benedetto XVI per la Messa di inizio Pontificato
Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio,
distinte Autorità e Membri del Corpo diplomatico,
carissimi Fratelli e Sorelle!
Per ben tre volte, in questi giorni così intensi, il canto delle litanie dei
santi ci ha accompagnato: durante i funerali del nostro Santo Padre Giovanni
Paolo II; in occasione dell'ingresso dei Cardinali in Conclave, ed anche
oggi, quando le abbiamo nuovamente cantate con l'invocazione: Tu illum
adiuva - sostieni il nuovo successore di San Pietro. Ogni volta in un modo
del tutto particolare ho sentito questo canto orante come una grande
consolazione. Quanto ci siamo sentiti abbandonati dopo la dipartita di
Giovanni Paolo II! Il Papa che per ben 26 anni è stato nostro pastore e
guida nel cammino attraverso questo tempo. Egli varcava la soglia verso
l'altra vita - entrando nel mistero di Dio. Ma non compiva questo passo da
solo. Chi crede, non è mai solo - non lo è nella vita e neanche nella
morte. In quel momento noi abbiamo potuto invocare i santi di tutti i
secoli - i suoi amici, i suoi fratelli nella fede, sapendo che sarebbero
stati il corteo vivente che lo avrebbe accompagnato nell'aldilà, fino alla
gloria di Dio. Noi sapevamo che il suo arrivo era atteso. Ora sappiamo che
egli è fra i suoi ed è veramente a casa sua. Di nuovo, siamo stati consolati
compiendo il solenne ingresso in conclave, per eleggere colui che il Signore
aveva scelto. Come potevamo riconoscere il suo nome? Come potevano 115
Vescovi, provenienti da tutte le culture ed i paesi, trovare colui al quale
il Signore desiderava conferire la missione di legare e sciogliere?
Ancora una volta, noi lo sapevamo: sapevamo che non siamo soli, che siamo
circondati, condotti e guidati dagli amici di Dio. Ed ora, in questo
momento, io debole servitore di Dio devo assumere questo compito inaudito,
che realmente supera ogni capacità umana. Come posso fare questo? Come sarò
in grado di farlo? Voi tutti, cari amici, avete appena invocato l'intera
schiera dei santi, rappresentata da alcuni dei grandi nomi della storia di
Dio con gli uomini. In tal modo, anche in me si ravviva questa
consapevolezza: non sono solo. Non devo portare da solo ciò che in realtà
non potrei mai portare da solo. La schiera dei santi di Dio mi protegge, mi
sostiene e mi porta. E la Vostra preghiera, cari amici, la Vostra
indulgenza, il Vostro amore, la Vostra fede e la Vostra speranza mi
accompagnano. Infatti alla comunità dei santi non appartengono solo le
grandi figure che ci hanno preceduto e di cui conosciamo i nomi. Noi tutti
siamo la comunità dei santi, noi battezzati nel nome del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo, noi che viviamo del dono della carne e del sangue di
Cristo, per mezzo del quale egli ci vuole trasformare e renderci simili a se
medesimo. Sì, la Chiesa è viva - questa è la meravigliosa esperienza di
questi giorni. Proprio nei tristi giorni della malattia e della morte del
Papa questo si è manifestato in modo meraviglioso ai nostri occhi: che la
Chiesa è viva. E la Chiesa è giovane. Essa porta in sé il futuro del mondo e
perciò mostra anche a ciascuno di noi la via verso il futuro. La Chiesa è
viva e noi lo vediamo: noi sperimentiamo la gioia che il Risorto ha promesso
ai suoi. La Chiesa è viva - essa è viva, perché Cristo è vivo, perché egli è
veramente risorto. Nel dolore, presente sul volto del Santo Padre nei giorni
di Pasqua, abbiamo contemplato il mistero della passione di Cristo ed
insieme toccato le sue ferite. Ma in tutti questi giorni abbiamo anche
potuto, in un senso profondo, toccare il Risorto. Ci è stato dato di
sperimentare la gioia che egli ha promesso, dopo un breve tempo di oscurità,
come frutto della sua resurrezione.
La Chiesa è viva - così saluto con grande gioia e gratitudine voi tutti, che
siete qui radunati, venerati Confratelli Cardinali e Vescovi, carissimi
sacerdoti, diaconi, operatori pastorali, catechisti. Saluto voi, religiosi e
religiose, testimoni della trasfigurante presenza di Dio. Saluto voi, fedeli
laici, immersi nel grande spazio della costruzione del Regno di Dio che si
espande nel mondo, in ogni espressione della vita. Il discorso si fa pieno
di affetto anche nel saluto che rivolgo a tutti coloro che, rinati nel
sacramento del Battesimo, non sono ancora in piena comunione con noi; ed a
voi fratelli del popolo ebraico, cui siamo legati da un grande patrimonio
spirituale comune, che affonda le sue radici nelle irrevocabili promesse di
Dio. Il mio pensiero, infine - quasi come un'onda che si espande - va a
tutti gli uomini del nostro tempo, credenti e non credenti.
Cari amici! In questo momento non ho bisogno di presentare un programma di
governo. Qualche tratto di ciò che io considero mio compito, ho già potuto
esporlo nel mio messaggio di mercoledì 20 aprile; non mancheranno altre
occasioni per farlo. Il mio vero programma di governo è quello di non fare
la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con
tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi
guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora
della nostra storia. Invece di esporre un programma io vorrei semplicemente
cercare di commentare i due segni con cui viene rappresentata liturgicamente
l'assunzione del Ministero Petrino; entrambi questi segni, del resto,
rispecchiano anche esattamente ciò che viene proclamato nelle letture di
oggi.
Il primo segno è il Pallio, tessuto in pura lana, che mi viene posto sulle
spalle. Questo antichissimo segno, che i Vescovi di Roma portano fin dal IV
secolo, può essere considerato come un'immagine del giogo di Cristo, che il
Vescovo di questa città, il Servo dei Servi di Dio, prende sulle sue spalle.
Il giogo di Dio è la volontà di Dio, che noi accogliamo. E questa volontà
non è per noi un peso esteriore, che ci opprime e ci toglie la libertà.
Conoscere ciò che Dio vuole, conoscere qual è la via della vita - questa era
la gioia di Israele, era il suo grande privilegio. Questa è anche la nostra
gioia: la volontà di Dio non ci aliena, ci purifica - magari in modo anche
doloroso - e così ci conduce a noi stessi. In tal modo, non serviamo
soltanto Lui ma la salvezza di tutto il mondo, di tutta la storia. In realtà
il simbolismo del Pallio è ancora più concreto: la lana d'agnello intende
rappresentare la pecorella perduta o anche quella malata e quella debole,
che il pastore mette sulle sue spalle e conduce alle acque della vita. La
parabola della pecorella smarrita, che il pastore cerca nel deserto, era per
i Padri della Chiesa un'immagine del mistero di Cristo e della Chiesa.
L'umanità - noi tutti - è la pecora smarrita che, nel deserto, non trova più
la strada. Il Figlio di Dio non tollera questo; Egli non può abbandonare l'
umanità in una simile miserevole condizione. Balza in piedi, abbandona la
gloria del cielo, per ritrovare la pecorella e inseguirla, fin sulla croce.
La carica sulle sue spalle, porta la nostra umanità, porta noi stessi - Egli
è il buon pastore, che offre la sua vita per le pecore. Il Pallio dice
innanzitutto che tutti noi siamo portati da Cristo. Ma allo stesso tempo ci
invita a portarci l'un l'altro. Così il Pallio diventa il simbolo della
missione del pastore, di cui parlano la seconda lettura ed il Vangelo. La
santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore: per lui non è
indifferente che tante persone vivano nel deserto. E vi sono tante forme di
deserto. Vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete,
vi è il deserto dell'abbandono, della solitudine, dell'amore distrutto. Vi è
il deserto dell'oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più
coscienza della dignità e del cammino dell'uomo. I deserti esteriori si
moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi.
Perciò i tesori della terra non sono più al servizio dell'edificazione del
giardino di Dio, nel quale tutti possano vivere, ma sono asserviti alle
potenze dello sfruttamento e della distruzione. La Chiesa nel suo insieme,
ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre
gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l'amicizia
con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza.
Il simbolo dell'agnello ha ancora un altro aspetto. Nell'Antico Oriente era
usanza che i re designassero se stessi come pastori del loro popolo. Questa
era un'immagine del loro potere, un'immagine cinica: i popoli erano per loro
come pecore, delle quali il pastore poteva disporre a suo piacimento.
Mentre il pastore di tutti gli uomini, il Dio vivente, è divenuto lui stesso
agnello, si è messo dalla parte degli agnelli, di coloro che sono calpestati
e uccisi. Proprio così Egli si rivela come il vero pastore: "Io sono il buon
pastore. Io offro la mia vita per le pecore", dice Gesù di se stesso (Gv 10,
14s). Non è il potere che redime, ma l'amore! Questo è il segno di Dio: Egli
stesso è amore. Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più
forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo
migliore. Tutte le ideologie del potere si giustificano così, giustificano
la distruzione di ciò che si opporrebbe al progresso e alla liberazione dell
'umanità. Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti
bisogno della sua pazienza. Il Dio, che è divenuto agnello, ci dice che il
mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il mondo è
redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall'impazienza degli uomini.
Una delle caratteristiche fondamentali del pastore deve essere quella di
amare gli uomini che gli sono stati affidati, così come ama Cristo, al cui
servizio si trova. "Pasci le mie pecore", dice Cristo a Pietro, ed a me, in
questo momento. Pascere vuol dire amare, e amare vuol dire anche essere
pronti a soffrire. Amare significa: dare alle pecore il vero bene, il
nutrimento della verità di Dio, della parola di Dio, il nutrimento della sua
presenza, che egli ci dona nel Santissimo Sacramento. Cari amici - in questo
momento io posso dire soltanto: pregate per me, perché io impari sempre più
ad amare il Signore. Pregate per me, perché io impari ad amare sempre più il
suo gregge - voi, la Santa Chiesa, ciascuno di voi singolarmente e voi tutti
insieme. Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi.
Preghiamo gli uni per gli altri, perché il Signore ci porti e noi impariamo
a portarci gli uni gli altri.
Il secondo segno, con cui viene rappresentato nella liturgia odierna l'
insediamento nel Ministero Petrino, è la consegna dell'anello del pescatore.
La chiamata di Pietro ad essere pastore, che abbiamo udito nel Vangelo, fa
seguito alla narrazione di una pesca abbondante: dopo una notte, nella quale
avevano gettato le reti senza successo, i discepoli vedono sulla riva il
Signore Risorto. Egli comanda loro di tornare a pescare ancora una volta ed
ecco che la rete diviene così piena che essi non riescono a tirarla su; 153
grossi pesci: "E sebbene fossero così tanti, la rete non si strappò" (Gv 21,
11). Questo racconto, al termine del cammino terreno di Gesù con i suoi
discepoli, corrisponde ad un racconto dell'inizio: anche allora i discepoli
non avevano pescato nulla durante tutta la notte; anche allora Gesù aveva
invitato Simone ad andare al largo ancora una volta. E Simone, che ancora
non era chiamato Pietro, diede la mirabile risposta: Maestro, sulla tua
parola getterò le reti! Ed ecco il conferimento della missione: "Non temere!
D'ora in poi sarai pescatore di uomini" (Lc 5, 1-11). Anche oggi viene detto
alla Chiesa e ai successori degli apostoli di prendere il largo nel mare
della storia e di gettare le reti, per conquistare gli uomini al Vangelo - a
Dio, a Cristo, alla vera vita. I Padri hanno dedicato un commento molto
particolare anche a questo singolare compito. Essi dicono così: per il
pesce, creato per l'acqua, è mortale essere tirato fuori dal mare. Esso
viene sottratto al suo elemento vitale per servire di nutrimento all'uomo.
Ma nella missione del pescatore di uomini avviene il contrario. Noi uomini
viviamo alienati, nelle acque salate della sofferenza e della morte; in un
mare di oscurità senza luce. La rete del Vangelo ci tira fuori dalle acque
della morte e ci porta nello splendore della luce di Dio, nella vera vita. E
' proprio così - nella missione di pescatore di uomini, al seguito di
Cristo, occorre portare gli uomini fuori dal mare salato di tutte le
alienazioni verso la terra della vita, verso la luce di Dio. E' proprio
così: noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede
Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio
vivente, noi conosciamo che cosa è la vita. Non siamo il prodotto casuale e
senza senso dell'evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di
Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario. Non
vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da
Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli
altri l'amicizia con lui. Il compito del pastore, del pescatore di uomini
può spesso apparire faticoso. Ma è bello e grande, perché in definitiva è un
servizio alla gioia, alla gioia di Dio che vuol fare il suo ingresso nel
mondo.
Vorrei qui rilevare ancora una cosa: sia nell'immagine del pastore che in
quella del pescatore emerge in modo molto esplicito la chiamata all'unità.
"Ho ancora altre pecore, che non sono di questo ovile; anch'esse io devo
condurre ed ascolteranno la mia voce e diverranno un solo gregge e un solo
pastore" (Gv 10, 16), dice Gesù al termine del discorso del buon pastore. E
il racconto dei 153 grossi pesci termina con la gioiosa constatazione:
"sebbene fossero così tanti, la rete non si strappò" (Gv 21, 11). Ahimè,
amato Signore, essa ora si è strappata! vorremmo dire addolorati. Ma no -
non dobbiamo essere tristi! Rallegriamoci per la tua promessa, che non
delude, e facciamo tutto il possibile per percorrere la via verso l'unità,
che tu hai promesso. Facciamo memoria di essa nella preghiera al Signore,
come mendicanti: sì, Signore, ricordati di quanto hai promesso. Fa' che
siamo un solo pastore ed un solo gregge! Non permettere che la tua rete si
strappi ed aiutaci ad essere servitori dell'unità!
In questo momento il mio ricordo ritorna al 22 ottobre 1978, quando Papa
Giovanni Paolo II iniziò il suo ministero qui sulla Piazza di San Pietro.
Ancora, e continuamente, mi risuonano nelle orecchie le sue parole di
allora: "Non abbiate paura, aprite anzi spalancate le porte a Cristo!" Il
Papa parlava ai forti, ai potenti del mondo, i quali avevano paura che
Cristo potesse portar via qualcosa del loro potere, se lo avessero lasciato
entrare e concesso la libertà alla fede. Sì, egli avrebbe certamente
portato via loro qualcosa: il dominio della corruzione, dello stravolgimento
del diritto, dell'arbitrio. Ma non avrebbe portato via nulla di ciò che
appartiene alla libertà dell'uomo, alla sua dignità, all'edificazione di una
società giusta. Il Papa parlava inoltre a tutti gli uomini, soprattutto ai
giovani. Non abbiamo forse tutti in qualche modo paura - se lasciamo entrare
Cristo totalmente dentro di noi, se ci apriamo totalmente a lui - paura che
Egli possa portar via qualcosa della nostra vita? Non abbiamo forse paura di
rinunciare a qualcosa di grande, di unico, che rende la vita così bella? Non
rischiamo di trovarci poi nell'angustia e privati della libertà? Ed ancora
una volta il Papa voleva dire: no! chi fa entrare Cristo, non perde nulla,
nulla - assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande.
No! solo in quest'amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in quest'
amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione
umana. Solo in quest'amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che
libera. Così, oggi, io vorrei, con grande forza e grande convinzione, a
partire dall'esperienza di una lunga vita personale, dire a voi, cari
giovani:non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto.
Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a
Cristo - e troverete la vera vita. Amen.
Piazza San Pietro 24 aprile 2005-04-24