Quelle che seguono, incluse le virgole, sono
opinioni, che in quanto tali non pretendono di sapere di verità. Dico ciò perchè mi sembrava di notare una certa acredine. Buona lettura.
"L'essere è"
Vogliamo pensare davvero a cosa vuol dire? Dato che io non saprei dirlo meglio cito:
Parmenide parte dall'osservazione che "è vero cio che è, e falso ciò che non è", e la riformula docendo che "l'essere è, il non essere non è". In altre parole collega verità e falsità, gi concetti problematici di per loro, con l'essere e il non essere, che lo sono ancora di più. E lo erano in particolare ai suoi tempi, per una serie di motivi. Anzitutto, il verbo essere è una peculiarità delle lingue indoeuropeee, ancor oggi carica di molteplici significati [...] può asserire la verità di un'affermazione ("così è"), avere valenza esistenziale (Parmenide è), copulativa (Parmenide è eleatico), sancire una appartenenza, indicare un'identità. Uno dei problemi di Parmenide si nasconde dietro all'abitudine a sostantivare un verbo, dando così un nome all'azione descritta dal verbo e agli agenti relativi. Nel caso di verbi che descrivono sensazioni concrete non ci sono problemi, con "vedere" si ottiene "il vedere", "il vedente", "il veduto" Non ci sono problemi a meno di non pretendere di fare contorsioni quali "il vedere vede", che ovviamente non significa nulla.
Nel caso del verbo essere, che è intransitivo, l'unico participio possibile è "essente" o "ente". In greco si usavano invece eìnai ed eòn. Tutto dipende dall'accezione in cui "ente" viene usato. In quella veridica, ad esempio, esso sarebbe semplicemente "il vero", e in questo caso "l'ente è" significa semplicemente "il vero è vero". Nell'accezione esistenziale, "l'ente" diventa l'esistente: "l'ente è" significa "l'esistente esiste". In entrambi i casi si ottiene una tautologia. Nell'accezione copulativa arrivano invece i problemi, perchè in tal caso il verbo non indica azione ma è solo un ausiliare: "l'ente" rimane in questo caso un sostantivo vuoto, e dire "l'ente è" non ha nessun senso. Naturalmente, se ci si limita a dire "l'ente è" non si sa in che senso sia inteso. E questo è ciò che fa Parmenide, con l'aggravante di dire, metaforicamente, non "l'ente è" ma "l'essere è": che letteralmente ha, come abbiamo già nontato, lo stesso significato di "il vedere vede" o "l'amare ama", cioè nessuno.
Questa in sintesi la ragione per cui io penso Parmenide sbagli sia su un piano ontologico (negare il movimento delle frecce, è già stato fatto notare, può essere pericoloso in guerra)
sia su un piano logico. Nella migliore delle ipotesi ("l'esistente esiste", "il vero è vero") Parmenide non afferma nulla di nuovo rispetto a quello che già sapevamo. nella peggiore ("il vedere vede") egli dice qualcosa che è, secondo le regole del linguaggio (che sono, solo, regole logiche), privo di senso, privo di valore.
Per il resto:
i filosofi che hanno più o meno rifiutato lo spazio e il tempo lungo i secoli sono stati tanti
Non me ne viene in mente nessuno... Agostino prova a dare una spiegazione sulla nascita del tempo, per Kant è null'altro che una forma pura con cui esperiamo il reale, Bergson ne ha una visione molto personale, Einstein ne distrugge l'assolutezza. Forse Spinoza, per cui Dio è ovunque?
Aristotele parla sì male di Zenone, ma nota come la sua Fisica abbia una impronta statica, non dinamica: lo stato naturale di un corpo per la sua Phisis è la quiete. La Fisica galileana invece afferma che lo stato naturale di un corpo è il moto uniforme, di cui la quiete è solo un caso particolare. Per me l'errore è naturale, perchè la confutazione mi sembra ovvia, basandosi non su un argomento di fede ma sul modo stesso in cui ci è dato esperire l'Universo. Il modus dell’essere pare l’alternanza. Giorno/notte, caldo/freddo, alto/basso, bianco/nero, uomo/donna. Ogni cosa trova delimitazione e senso nell’avere una nemesi. L’esperibile si basa sul concetto di contrapposizione. Ciò che non può essere contrapposto non ha senso nè misura, non ha norma per poter essere confrontato con l’altro da sè. Il limite e non il contenuto. Non ciò che le cose sono in sè stesse, ma ciò che esse sono nel loro essere diverse dal resto. Lo sciente non parla dello scibile in quanto da-sè, ne parla in quanto differenza. L’interloquio è nientemeno che tracciare un margine, limitare l’esprimibile dalla potenza all’atto, calare nei panni miseri del linguaggio (lineare) la sequenza circolare di puro gesto. Ed è anzi di più (di meno?). Esprimersi è SOLO quel margine. L’essere sta in bilico su un filo, e anzi esso è il filo in sè. Dire questo avrebbe salvato Parmenide dalla banalità, e forse l'Occidente intero dall'andazzo poco sipatico che la filosofia ha avuto dopo, culminando col suo omicidio da parte di Hegel, e con i tentativi, di gran cattivo gusto, dei suoi successori che hanno fatto da bravi necrofili scempio del cadavere.
Ma non travisiamo.
Ciò che ero partito a dire è che Zenone, Parmenide o chi per loro sbagliano, ma di un errore comprensibile, perchè comune alla mentalità greca tutta: lo spazio-tempo è continuo, si può cioè pensare lo spazio fisico come formato da n (dove n cresce o cala a seconda del secolo) copie della retta reale. Basta però leggere un po' per andare a scoprire che, per quel che sappiamo oggi
-la carica è quantizzata (e)
-il tempo è quantizzato (tempo di Planck)
-lo spazio è quantizato (lunghezza di Planck)
-(forse anche) la massa è quantizzata (bosone di Higgs)
Tu mi dirai, dunque, questo non c'entra niente con la filosofia. Te lo dico amichevolmente, secondo me sbagli. La filosfia deve (non può fare a meno di) confrontarsi con la concezione del cosmo che ci dà la Scienza. La differenza che si deve tracciare è tra piano ontologico (quel che c'è) e piano logico (quel che possiamo pensare), non quella tra piano phisico (alla greca perchè di senso più lato che non la "fisica") e piano meta-phisico (quello che si trova "dopo", "oltre" l'esperibile, ma che non è per questo meno vero). La logica è un costrutto mentale che adoperiamo per intelleggere il mondo. La metafisica no, essa è reale quanto la fisica ma di piu difficile catalogazione, perchè sfugge a quel calibro che con la fisica è perfetto, cioè la percezione sensoriale. Si tratta secondo me, solo di ridefinire la grandezza delle maglie che usiamo per ingabbiare il cosmo, e in questo senso è fondamentale capire e aver sperimentato dove tali maglie possano portare e dove invece si debbano fermare per incapacità comunicativa. E' in quest'ottica che io studio Fisica, capirai cosa interessa a me di trovare un altro neutrino dentro tre mlioni di metri cubi d'acqua!
Facendo in un altro modo, andando a dividere invece che a unire, si corre il rischio di creare una classe filosofica che non sa nulla di scienza, cioè un gruppo di persone che parlano di metafisica senza sapere nulla (ripeto:nulla) di quello che sta prima: gente che ha attraversato la porta senza prima aver fatto la strada che alla suddetta conduce, che in quanto tale non può sapere nulla (ripeto:nulla) a proposito di quello che dice. Dall'altra parte c'è invece un insieme di scienziati che è vergognosamente ignorante in campo metafisico, non sa cioè dove portare le cose che ha imparato osservando il mondo. Ha fatto solo metà del lavoro, è arivata all'entrata di una porta che crede non conduca da nessuna parte, e che invece dà su una stanza piena di filosofi che sbattono il naso sui muri perchè non sanno che, scientificamente, basta accendere l'interruttore della luce per vederci meglio.
Ma di nuovo, non perdiamoci: La Fisica di oggi tratta tutto "come se" spazio, tempo, carica, massa, annessi e connessi fossero continui. Ma l'errore (che secondo me, ma ripeto di non avere la verità in tasca, è un errore madornale) di noi moderni è quello stesso fatto da Parmenide, Zenone, Sant'Anselmo, Cartesio, Kant... confondono il mondo (che è un labirinto di correspondances che si rimandano e si rispecchiano l'una con l'altra) col modello utilizzato per spiegarlo (che è, parafrasando Borges, anch'esso un labirinto, ma un labirinto ordito da uomini, destinato ad essere decifrato dagli uomini). Il problema è che noi pensiamo, "uao, tutto funziona alla perfezione anche se penso le cose come continue e non quantizzate!!1!".... questo è di certo bello, è un gran regalo che madre natura ci fa il fatto di poterla denudare e goderne la bellezza ad una definizione soddisfacente con degli strumenti tutto sommato accessibili. Ma non dobbiamo secondo me perdere di vista che se vogliamo una qualità visiva Hi-Fi dobbiamo tornare su e rinunciare ad una delle approssimazioni fatte per guadagnare semplicità. Il bello del mondo è che ci prende per i fondelli quotidianamente, quando piu noi ci sforziamo di costruire un modello che lo ingabi tutto e non gli lasci scampo, più alla fine del lavoro siamo costretti ad ammettere che sì, le cose vanno così,
ma fino a un certo punto, poi entrano in gioco la realtività\lestringhe\la meccanica quantistica\la foto del Papa.... piu vuoi spiegare, più riesci a spiegare, ma non riesci ad afferrare TUTTO.
Io stesso da fisico penso, anzi sento con ogni fibra del mio pensiero, che l'insieme di Mandelbröt, la curva di Peano, i numeri naturali semplicemente esistono, e che invece il mondo sia un'accozzaglia di materia che, fortunatamente, si lascia descrivere dalla matematica con un grado di precisione ben al di là della potenza misurativa di qualunque strumento possiamo costruire o anche solo immaginare. Siamo quotidianamente tratti in inganno dal fatto che, per quanto spingiamo oltre la nostra capacità di misurazione, otteniamo sempre una ottima corrispondenza mondo-modello. Ma fare il salto di qualità e dire "bene, quindi mondo=modello" è nulla più che affidarsi ad un dogma, tanto vale credere in Dio e facciamo anche meno fatica. Il mondo non è il modello, tanto quanto la parola rosa non punge. Le due cose sono indubbiamente interconnesse, ma per spiegare a quale livello, il linguaggio non basta: e il suo non bastare non è un dogma, o una posizione di comodo per fare pochi conti. E' invece un suo limite costitutivo, come della lingua non puoi dire il sapore.
No, mi dispiace, non stiamo parlando di matematica, stiamo parlando di filosofia.
Da quel che hai potuto leggere, non colgo la differenza, e dispiace a me.